Faro Santa Croce Augusta

Faro Santa Croce Augusta


Nel 1856 i borboni costruirono una torre con una lanterna, per agevolare e proteggere la navigazione lungo la costa del Monte Tauro. Questo segnalatore marittimo fu costruito in contrada Sant’Elena e venne chiamato Faro di Santa Croce, dal nome dell’omonimo Capo proteso sul mare Ionio, sul quale vigilava. Il nome del Capo marittimo e quello della Contrada, che comprende l’intera vasta area extraurbana di Sant’Elena, derivano entrambi da un’unica e particolare leggenda. Secondo questa tradizione, la nave che nel 324 trasportava l’Imperatrice Elena di Bisanzio, madre dell’Imperatore Costantino, di ritorno dal pellegrinaggio in Terra Santa e con a bordo un prezioso carico contenente delle reliquie della Santa Croce, fu costretta da una violenta tempesta ad approdare sulla costa sud-orientale del Monte Tauro. Fu proprio in questo luogo che l’Imperatrice, in segno di ringraziamento per lo scampato pericolo e del relativo salvataggio dei resti della Croce sulla quale morì Gesù Cristo, fece costruire una piccola chiesa dedicata proprio alla Santa Croce e fece innalzare anche una grande croce. Infatti, sin dai tempi remoti, si è sempre parlato dell’esistenza di una croce, posta proprio nelle vicinanze di questo faro ed andata distrutta nella seconda parte del Millenovecento, per le intemperie del tempo. Anche se tali indizi portano a credere che l’avvenimento riguardante la futura Sant’Elena sia più una credenza locale che un fatto veramente accaduto, da allora quest’estremità del Monte Tauro prese il nome di Capo di Santa Croce.
Più tardi nei secoli alcuni eremiti, dopo che l’Imperatrice Elena era già stata santificata, a ricordo del miracoloso scampato naufragio, eressero in questa zona un piccolo eremo con una chiesetta, dedicata al culto di Sant’Elena: la presenza di questo modesto insediamento religioso, diede il nome all’intera zona che, per l’appunto, diventò l’attuale Contrada Sant’Elena. Questa parte del Monte Tauro negli anni è divenuta una zona molto frequentata, grazie soprattutto alla sua naturale ‘accoppiata’ rappresentata dalla presenza di svariata ed ombreggiante vegetazione e di una vasta ed accogliente scogliera. La prima permette di vivere in mezzo ad un gradevole ambiente ricco di rigogliosa e profumata vegetazione, mentre la scogliera, riflettente su uno splendido e azzurro mare aperto, offre la possibilità di fare dei rinfrescanti e salutari bagni estivi. Sin dall’inizio del Novecento, dopo lunghi anni di continuo declino, sia l’eremo che la piccola chiesa, custoditi nell’ultimo periodo della loro esistenza dal frate Giuseppe Scarpato, furono abbandonati a causa delle loro precarie condizioni di stabilità. Acquistato da privati, l’ex edificio sacro fu trasformato in abitazione civile, prevalentemente utilizzata come luogo di villeggiatura estiva. La zona, splendido luogo di balneazione, è nota ai più avanti negli anni anche come “u faru i Sant’Elina”, per la presenza appunto di quel segnalatore marittimo voluto dai borboni, pochi anni prima che avvenisse l’Unità d’Italia.